Parliamo di fecondazione omologa quando spermatozoo e ovocita impiegati appartengono alla coppia di genitori del nascituro, dai quali erediterà il patrimonio genetico.
Nella fecondazione assistita o artificiale che dir si voglia, rientrano tecniche quali l'inseminazione intrauterina, la fivet, l'icsi, la mesa, la tesa, ecc.
Per scoprire di più sulle varie tecniche utilizzate all’interno del CMR (Centro di Medicina Rirproduttiva) e sulla fecondazione assistita visitate questo link.
La fecondazione assistita può anche essere completata con il PGT per trasferire embrioni privi di tare genetiche.
Si parla di fecondazione eterologa quando il seme o l’ovocita provengono da un elemento esterno alla coppia.
Questa tecnica riproduttiva in Italia oggigiorno è permessa, grazie a modifiche apportate alla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 che reca le “Norme in materia di procreazione assistita”.
Questa legge ha creato forti discussioni sulla sua "costituzionalità", tanto che, dalla data della sua nascita, è già finita infatti cinque volte in tutto sui banchi della Corte Costituzionale - nel 2005, due volte nel 2009, una nel 2010 e una nel 2012 - e diciassette in tutto se si aggiungono anche le pronunce dei tribunali.
L'ultima volta è stato nel 28 agosto del 2012, quando la Corte Europea di Strasburgo dei diritti umani ha rimesso in discussione la legge 40, dando ragione a Rosetta Costa e Walter Pavan, che, essendo entrambi portatori sani di fibrosi cistica, avevano richiesto di poter far ricorso alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto.
Infatti, nel novembre del 2011 la stessa Corte emise una sentenza che vietava, per legge, alle coppie sterili di ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa. La sentenza riguardava due coppie austriache per cui la fecondazione in vitro con donazione dello sperma era l’unica possibilità di avere un figlio, sostenendo, quindi, di essere discriminati rispetto ad altre coppie che potevano ricorrere a questa tecnica.
Questa volta la storia riguarda due italiani, Rosetta Costa e Walter Pavan, che, in seguito alla nascita del loro primo figlio, affetto da fibrosi cistica, scoprirono di essere entrambi portatori sani della stessa malattia.
Questo significava che se, come da loro desiderio, avessero voluto avere un altro figlio, avrebbero dovuto fare i conti con il 25% di possibilità che nascesse affetto dalla malattia e il 50% che fosse portatore sano.
La procreazione assistita e il test genetico preimpianto era l’unica possibilità di non correre questo rischio, ma la legge italiana non lo permette, ecco perché la coppia fece ricorso alla Corte dei diritti umani, adducendo che la normativa violasse il loro diritto alla vita privata e familiare e li discriminasse rispetto alle coppie sterili e a quelle in cui l’uomo ha una malattia sessualmente trasmissibile.
La Corte ha emesso la sentenza, diventata nel febbraio 2013 definitiva, nonostante il ricorso di Monti e del governo italiano, decretando l’ingerenza della normativa italiana sulla fecondazione assistita nell’esercizio della vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Secondo i giudici la mancanza di coerenza è determinata dal fatto che da un lato si vieta, attraverso la legge 40 del 2004, l’impianto dei soli embrioni non affetti da fibrosi cistica, mentre dall’altro, con la legge sull’interruzione di gravidanza, si autorizzano i genitori ad abortire un feto affetto dalla stessa patologia.
Con la bocciatura del ricorso del governo da parte della Corte dei diritti dell’uomo, la legge 40 dovrà essere adeguata alla Carta europea dei diritti dell’uomo, prevedendo l’accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita anche per le coppie fertili portatrici di patologie trasmissibili ai figli.
In base alla sentenza, inoltre, ora lo Stato italiano dovrà risarcire i due coniugi di 15mila euro più 2500 di spese legali.